"Chi dice che è impossibile non dovrebbe disturbare chi ce la sta facendo" – Albert Einstein.

Viaggio all´incontro di me stessa Viaggio di una persona Asperger alla scoperta di se stessa

Autore: Mireya Moyano Somoya

Che bel lavoro che fai sorellina, ma sai se tu fossi una bimba oggi, avresti bisogno di una psicologa.

Devo precisare che mi risulta molto difficile raccontare questo lungo percorso all´interno di me stessa, mettere in parole quello che ho vissuto e sentito negli ultimi anni. Sono nata in Bolivia ma vivo in Italia da tanto tempo, sono psicologa e da molti anni lavoro con persone con disturbo dello spettro autistico. Il primo brivido mi venne quando iniziai a studiare il KADI, uno strumento di diagnosi della Sindrome di Asperger: nell´elenco di domande da applicare mi ritrovai in pieno. Cominciai cosí a cercare di capire meglio, a domandare e ricordare.

Sí, da piccola ero abbastanza particolare, uno dei “giocattoli” che piú ricordo é una magnifica scatola con bottoni colorati e di varie dimensioni, fiori e semini della ginestra. I miei ricordi d´infanzia sono legati a questi oggetti. Amichette non reperibili. Ricordai anche tante paure, la forte paura delle maschere di carnevale (una in particolare con tanti specchietti), ma anche paura delle donne con forte trucco. Sensazioni strane, la sensazione di alcune stoffe sulla pelle, gli odori intensi, la nausea a certi odori, ma anche nel camminare sulle grate metalliche. Sensazioni che sono esaltate nel momento del dormiveglia, nel quale ogni rumore viene amplificato e ogni contatto lo sento in modo particolarmente intenso. Sensazioni tuttora presenti, magari attenuate dalla “buona educazione”. Ero, sono, particolarmente emotiva. A volte mi sento travolta da queste emozioni che mi soffocano e devo camminare per respirare aria che mi faccia stare meglio. Questa alterazione nel modulare le emozioni é molto frequente nelle persone con Asperger, non si sa come regolare, adeguare le parole a ció che si prova e questo tante volte é visto dall´esterno come una freddezza nella emotivitá. A scuola era uno dei motivi per cui ero presa in giro, anni dopo ho saputo che le compagne mi chiamavano “cervellona” per la mia affezione alla lettura e perché non condividevo nessun interesse con quasi nessuna di loro.

Avendo tre fratelli e una sorella, ho avuto una palestra sociale importante. Mia madre aveva notato che non guardavo negli occhi e inventó un gioco che stabiliva un premio per chi sosteneva di piú lo sguardo dell´altro. Diventai molto esperta. Mia cugina é stata la mia amica e un modello comportamentale importantissimo, senza che me ne fossi mai accorta, quando ero con lei imitavo anche il suo tono di voce. Durante qualche anno siamo state affascinate dalla religione, con lei facevamo giochi o rappresentazioni con santi e preghiere. (Avevo trovato dei libri e riviste con la vita dei santi).

La nostra famiglia ha sempre avuto una grande passione per gli aerei, molti tra zii e cugini sono piloti o paracadutisti, e le domeniche in famiglia molto spesso culminavano con un giro all´aeroporto a vedere atterrare e partire aerei.

Questa passione ce l´ho tuttora e a volte mi fa sorridere che mi susciti piú spavento e sussulto il rumore improvviso di una moto, che il frastuono di un´aereo che sorvola a bassa quota. Oppure che provi nausea sentendo un profumo un po´ dolciastro, mentre senta veramente di respirar aria buona al sentire odore di jetfuel.

Il mio mondo era popolato di amici immaginari, tanti, loro erano i miei compagni di giochi, come Covis, il dr. Cuivis. Questi amici mi sono ritornati alla memoria quando un giorno V., una bambina che seguo, dopo avere fatto un disegno con pesciolini li nominó: erano Ivis, Covis e Cuivis. Finita la sessione d´attivitá chiesi alla sua mamma se aveva sentito prima questi nomi, lei mi disse che erano gli amici immaginari della piccola V. Restai sconvolta, erano i miei amici, che io non ricordavo. Ma che i miei fratelli avevano sempre raccontato che nominavo e che accompagnavano i miei giochi.

L´ingresso alla scuola é stato difficile e ricordo di aver pianto e urlato molto, era troppo complesso restare in classe. Appena imparai a leggere mi si aprí un mondo. Passavo ore in biblioteca a leggere di tutto. In terza elementare, dopo un paio di mesi decisero che era meglio se facevo la quarta, perché mi annoiavo in classe. Cosí trascorse la scuola, tra libri (dai classici a libri di filosofia), biblioteca e qualche “gioco” di cui per me non era semplice capire la logica. Ero molto ingenua, e tante volte non comprendendo i doppi sensi o giri di parole, andavo a cercare in dizionari o enciclopedie.

Mi pare importante sottolineare che in quegli anni nessuna di queste cose mi sembrava particolarmente strana, quello che mi pareva difficile da capire erano gli altri, la capacitá che avevano di fare delle cose senza senso. Per me era naturale passare delle ore a leggere, trovavo bellissimo restare nella stanza con luce spenta ad ascoltare musica. Per me era difficile dover affrontare i coetanei, quindi ero abbastanza associale e non mi trovavo affatto a disagio. Poi nel tempo non mi sono neppure accorta che anche una delle mie figlie fosse Asperger, perché lei era come me: una ragazza che amava molto la lettura, un po´ ingenua e che seguiva le sorelle nella vita sociale. Da piccola anche lei aveva imparato a leggere per conto proprio e anche a lei volevano fare “passare” alla terza senza fare la seconda, ma come mamma pensai che era meglio che lei seguisse il suo ritmo con i coetanei, attribuendo la mia inadeguatezza sociale ad aver fatto questo “salto” di classe.

A questo punto mi pare opportuno fare una riflessione, pensare che non tutte le persone Asperger si sentono meno degli altri ragazzi che hanno molti amici.

Di solito ne risentono gli altri di questa situazione, perché la trovano “non normale” . Non riuscivo a capire cosa si aspettavano gli altri, cosa si doveva fare per passare inosservata tra gli altri. Ricordo che molte volte era mia sorella a “vestirmi e truccarmi” affinché avessi un aspetto piú normale prima di uscire, quindi il passo successivo per me era andare in bagno a lavarmi ed uscire come piaceva a me.

Prima della fine della scuola, mi innamorai di una persona (era stato il mio insegnante), con la quale condividevamo tanti interessi, il primo la passione per i libri. Finalmente qualcuno con cui poter veramente parlare. Lasciai gli studi e ci sposammo quasi 40 anni fa, abbiamo cinque figli (la seconda figlia, anche lei Asperger). Durante 20 anni mi dedicai esclusivamente alla mia grande famiglia. Potete immaginare quanto c´era da fare con 5 figli. Marito e figli vissero con questa donna con poca vita sociale e tanti libri. Con i figli abbiamo fatto tanti giochi di parole, avendo un bilinguismo ci dava un ampio ventaglio di possibilitá. Si facevano sessioni di lettura animata e di ascolto di musica.

Sicuramente le maggiori difficoltá che una donna Asperger deve affrontare sono quelle relative alla scoperta delle relazioni sociali e affettivitá, difficoltá che possono esporre le ragazze a subire abusi nella non comprensione di tutte le sottigliezza dello scambio sociale Asperger e non. Non avendo queste abilitá, mal potevo consigliare le mie figlie. Uno degli errori che piú mi sento addosso é quello di aver esposto anche le mie figlie a questi pericoli, di cui dopo ne soffrirono le conseguenze. Provo un´amarezza infinita.

Penso quanto sarebbe stato diverso tutto se avessi saputo la mia diagnosi e pertanto fossi stata in grado di prevedere queste contingenze. Queste considerazioni le vengo maturando negli ultimi anni, in questi anni che studio e leggo di piú sulla sindrome di Asperger.

Quando l´ultimo dei miei figli ha iniziato la scuola, cominciai a lavorare come volontaria in un centro per persone con disabilitá. Lá trovai le prime persone con Autismo, scoprii subito che questo mondo mi chiamava, sentii che dovevo fare qualcosa. Il centro organizzava dei corsi di didattica speciale e decisi di frequentarli, ma c´era un problema: non avevo fatto la maturitá, allora frequentai una scuola serale e finii gli studi con i voti piú alti. A questo punto sentii che non era sufficiente, e una volta finito il corso di didattica speciale, parlai con la mia famiglia per condividere con loro un caro sogno che era lí che mi girava: frequentare l´universitá e studiare psicologia. Ho fatto l´universitá, lavorato e seguito i miei figli, organizzando le varie attivitá, con uno schema di compiti e doveri che era appeso davanti al frigo in modo che ognuno lo vedesse e potesse eseguire. Ho fatto la specializzazione di psicologia clinica (clinica cognitiva comportamentale) perché mi pareva quella piú interessante, logica e chiara, ma prendendo tra le materie opzionali anche quelle delle altre specializzazioni. Mi trovavo davvero bene con i miei compagni di universitá – di quasi 20 anni in meno, peró uniti dalla passione per lo studio. Ho finito l´universitá con eccellenza accademica, senza dover discutere la tesi. A questo punto parte della famiglia era in Italia, quindi ci trasferimmo quasi tutti qui. Una volta installata, trovai lavoro come educatrice in un centro per l´Autismo, e ripresi a lavorare e studiare ancora di piú questa condizione.

In tutte queste esperienze lavorative mi sono resa conto della difficoltá nel rapportarmi con i colleghi di lavoro, ho sentito molte volte una inadeguatezza al lavoro con gli altri, perché tante volte l´elaborazione ed espressione dei miei pensieri non era facilmente comprensibile, né lo era il modo di esprimermi. Mi capita di aspettare che gli altri comprendano. Ma sicuramente la difficoltá maggiore era capire gli altri, i modi di dire o i pensieri insinuati ma non detti, molto sottofondo di cose non spiegate perché tanto si capisce. Mi sentivo davvero male. Questo aspetto é quello dove piú fatica si fa, perché il mondo del lavoro é basato in rapporti sociali e codici non scritti che rendono un poco complicata la vita della persona Asperger. Poi capita di dire le cose in modo schietto e chiaro, tante volte un po´ scomodo, questo in un mondo pieno de regole di buona educazione é inaccettabile.

Lavorando con bambini e ragazzi con Autismo invece tutto era diverso, coerente ed essenziale, trovare la chiave per entrare in contatto diventava quasi naturale. Ho una galleria di sguardi in mente, di momenti.

Dopo qualche anno ho fatto il riconoscimento della mia laurea, tirocinio in neuropsichiatria e in un distretto sociosanitario, senza dover aggiungere altri esami, tanto ne avevo fatti in quantitá al di sopra di quanto richiesto. Da allora mi occupo quasi esclusivamente di persone con Autismo, e mi rendo conto che abbiamo un canale, un´intesa particolare, forse perché abbiamo gli stessi codici.

In questi anni di lavoro mi é capitato spesso di comprendere subito il motivo di possibile disagio dei miei ragazzi, poi osservando in modo strutturato tante volte le prime impressioni si confermano.

Ricordo alcuni eventi sui generis, nel primo caso mi fu segnalato dalla mamma di M., un ragazzino di 12 anni, l´impossibilitá che provava il ragazzino di entrare in cucina. Arrivando alla loro casa, notai che avevano cambiato la lampadina: ne avevano messa una a risparmio energetico, colore freddo, che subito mi diede una sensazione quasi pungente. Suggerii il cambiamento della lampadina in questione e M. riprese ad entrare in cucina. Mi successe anche di entrare nella scuola di G. per una riunione e sentire un odore sgradevole che proveniva della mensa; durante la riunione poi fu segnalato il problema che viveva A. e che impediva al piccolo di mangiare le pietanze. E´ stato pensato un programma specifico per fare in modo che il bimbo arrivasse alla mensa seguendo un altro percorso, dove gli odori erano meno intensi, e lui piano piano si é abituato a convivere anche con questa realtá. Un altro momento interessante é quando metto in voce quello che sta succedendo: “sí G, c´é il cucú che canta fuori, ma dobbiamo fare…”, G. sorride e si sente capito e poi riesce a rispondere meglio alle richieste. Come G., capita ad altre persone, e il loro sorriso é proprio bellissimo.

E´ in questa cornice che incontrai la Sindrome di Asperger, che dava risposta a tante domande. Che mi permette di capire me stessa, comprendere le mie reali capacitá e i punti deboli che devo ancora superare.

Ció che é ancora piú importante é che gli altri riescono a comprendere meglio reazioni e sensazioni, cosí frequenti in famiglia. Per mia figlia significa riconoscere e poter fare una vita piú consapevole, prevedendo giá che a sua figlia dovrá spiegare il mondo con gli occhi e i codici che adesso ci permettono di avere una visione migliore.

Quanto puó cambiare la prospettiva della vita dopo avere consapevolezza della propria condizione, e questa lettura diversa puó fare che tutto sia meno complicato. Mi sento proprio sconfortata se penso a quante donne senza una diagnosi crescono con dubbi e incertezze, con la difficoltá di comprensione sociale che le puó esporre a bullismo o abusi. Dobbiamo pretendere che ci sia maggiore accuratezza nella fase di diagnosi, ma anche un adeguato programma di consapevolezza per aiutare le persone con sindrome di Asperger ad avere in mano la loro vita.

Sono nonna e capita giá che una delle mie nipotine mi dica sorridendo:

nonna ma che strano modo di pensare che hai.

Ma vivere a contatto con persone bizzarre fa sí che la nostra famiglia sia molto spesso frequentata da persone singolari che trovano uno spazio un po´ insolito.

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