"Chi dice che è impossibile non dovrebbe disturbare chi ce la sta facendo" – Albert Einstein.

Fabrizio De Caro: il nuovo sguardo sulle ferite del mondo

Andatura dinoccolata e movenze impacciate, Fabrizio, 23 anni, entra nella stanza e tira dritto verso l’imposta, per scrutare l’oscurità del cielo. Si esime dalla stretta di mano che, solitamente, suggella la presentazione di due persone e, dando, soltanto, una sbirciata a chi lo aspetta seduta, pronuncia un fragoroso “Buongiorno!” Voce potente e cavernosa la sua che sembra stracciare l’aria, così come i lampi e i tuoni che in quel momento trafiggono l’etere. Lancia, poi, un’imprecazione verso quei meteorologi che, a suo dire, “Hannu sbagghiatu” le previsioni: “Chiòvi, sì, ma nun è alluvione”. Parlata molto colorita quella di Fabrizio, costellata di espressioni in dialetto siciliano e di certe male parole che contraddistinguono il nostro vernacolo.
Fabrizio, che mostra una ferrea memoria riguardo le date di nascita e le ricorrenze dei Santi, ci annuncia l’istituzione da parte sua di quattro feste celebrative di due “Beati”. Non si tratta di martiri, né di Santi patroni, ma di cani che Fabrizio ritiene, comunque, venerabili ogni 13, 20, 30 e 31 dicembre. I due cani di grossa taglia, un tempo amici fedeli di Fabrizio, e adesso passati a miglior vita, erano il pastore maremmano, Dora, e il rottweiler, Tinco. Fabrizio, che attualmente, possiede Italo, un pechinese indiano, ci racconta, dunque, che in periodi diversi ha tenuto in casa “la cana” ,Dora, e il cane, Tinco, e che, dopo la loro morte, ha eseguito dei ritratti con colori a cera, divenuti il nucleo centrale di edicole votive agli stessi dedicate.
“Vieni, che te le faccio vedere” – mi esorta Fabrizio -. E, così, durante la visita guidata della sua casa, appuro l’allestimento di quattro rudimentali tempietti consacrati ai Santi cani. Se non fosse per i rampicanti plastificati che, abbarbicati nel punto di congiunzione di due pareti, lasciano penzolare le loro fronde, sarebbe difficoltoso scorgere i due quadretti posti in alto a sfiorare il soffitto. Di diversa fattura e più elaborate sono, invece, le altre due cappelline collocate in cucina e nella camera di Fabrizio. Sempre contornati di fiori e piante senza linfa, né vita, ma germogliati fra i marchingegni delle fabbriche, gli altri due luoghi di culto sono provvisti di un rudimentale altarino in cui campeggiano, tra l’altro, bigliettini inneggianti la bontà di questi cani, il giorno della nascita e quello della morte. Fabrizio ama molto anche la fotografia, un’arte che sta apprendendo al Dipartimento di igiene salute mentale, nell’àmbito del corso tenuto ogni mercoledì dall’esperto, Giuseppe Briffa. Entusiasta della compagnia degli altri allievi, dell’abilità dell’insegnante e dell’équipe medica che li assiste, li definisce “simpaticuni”. Benché ami immortalare di tutto, da paesaggi incantati a oggetti inanimati e anche il clamore delle feste, Fabrizio accorda la sua preferenza all’attrice, cantante, ballerina statunitense, Selena Gomez, che con il suo talento poliedrico, oltre che con l’avvenenza, lo ha affascinato immediatamente. Fabrizio perde, letteralmente, il sonno per Selena, visto che a tarda sera resta incollato al monitor a sentire e risentire le sue melodie, e a scattare foto. “La prima volta che l’ho vista – specifica – erano le 18,56 del primo aprile 2011.”
– Fabrizio, ti piace andare al cinema?-

“Ci haju jutu ogni tantu. L’ultima volta fu il 3 dicembre del 2007. Preferisco  i film comici e quelli d’amore.”
“È ora di andare, Fabrizio.”
“Ma, comu, accussì prestu?”
“Ma, comu, prima nun vulèvutu parrari?”
Fabrizio mi talìa fissu, mentre sul suo viso vaga un consolatorio sorriso.
“Ciao, Fabrizio! Tu, emblema del diverso nella società che brama sfarzi e ori, che rincorre vittorie e popolarità, che reclama appariscenza e fugace bellezza. Tu, figlio di quel Dio che ripara le imperfezioni e che osanna ogni fragilità. Grazie, Fabrizio, per la fervida immaginazione e per la spontaneità. Vado! Il delirio della vita mi aspetta.”

Lucia Corsale

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